Reggio e i colori dell'Emilia
Il console romano Marco Emilio Lepido forse non immaginava che la sua via Emilia, completata nel 187 a.C., avrebbe superato la funzione militare di arteria essenziale per lo spostamento delle truppe e sarebbe, invece, diventata l’asse portante di un sistema di luoghi composti da tante aree vaste complementari tra loro. Aree vaste dove la realtà economica e sociale è sempre più integrata: un reticolo di insediamenti che nei secoli, da Roma ai nostri giorni, ha creato un’unica grande città diffusa. Una parte di questa città, un quartiere potremmo dire, è formato da un’area vasta legata alle tre sorelle emiliane: Modena, Reggio e Parma. Anche se in questo caso le sorelle sono solo tre e non sei, come nella canzone della Gatta Cenerentola di Roberto De Simone, sono comunque tutte belle e c’è un dettaglio in ciascuna di esse che «me n’ha fatto ‘nnammura’». Ho sempre rifiutato la classifica sull’incanto o sulla bellezza di una città rispetto all’altra. Possono piacercene più d’una insieme, con caratteristiche e particolari a cui non so rinunciare. Ciascuna delle sei sorelle ha qualcosa di speciale rispetto alle altre, come a dire che la bellezza è, per sua natura, molteplice, non ce n’è una sola. Tanti fotografi si sono impegnati a rappresentare il fascino e la storia di queste città o a catturarne l’essenza e i particolari più eclatanti: Enzo Crispino si è concentrato su un aspetto di una di loro, Reggio Emilia, sul colore o meglio sui suoi colori. Struggenti, morbidi, avvolgenti, sfumati, graduati, in cui tuffarsi e nuotare. Colori da mordere, addentare. Un anziano restauratore mi spiegava che una tinta funziona se ti vien voglia di masticarla. Restando nel tema del funzionamento mandibolare, i colori del cibo, dei prodotti gastronomici, e poi quelli della natura nei campi, nei fiumi, nelle montagne, tutto contribuisce a definire il colore di una città.
Mauro Severi